La tesi del linguista Bartolomeo Porcheddu è che “Il latino che si studia oggi nelle scuole è il prodotto di una errata interpretazione storica, poiché tale lingua non è il risultato di una evoluzione naturale del linguaggio parlato nel Lazio antico dai Romani, diffusosi dopo la conquista imperiale nel resto dell'Europa occidentale, ma l'esito di una lingua costruita a tavolino subito dopo l'occupazione militare da parte dell'esercito romano dei territori peninsulari in cui erano situate le città della Magna Grecia (267 a.C.)“. Secondo Porcheddu, la lingua latina sarebbe una forma di scrittura standardizzata, fatta elaborare dal Senato romano tra il 267 a.C. e il 240 a.C., anno in cui si è tenuta la presentazione della prima opera teatrale in lingua latina comune da parte di Livio Andronico. I Romani applicarono alla radice sarda dei nomi il morfema greco. Per poi distruggere tutte le prove che porterebbero all'origine della lingua “comune“ sardo-greco-latina. “Le motivazioni politiche di tale atto derivano dal fatto che i Romani volevano mostrare al mondo una discendenza di sangue con i Greci e hanno conseguentemente manipolato le fonti sulla loro origine storica. Considerare il sardo una lingua neo-latina significa distruggere la storia millenaria della Sardegna nel Mediterraneo antico prima dell'avvento di Roma.
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