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L'URLO di Michelangelo Severgnini - director's cut

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Questo film viene oggi caricato sulla piattaforma YouTube dopo oltre 3 anni di censura da parte del suo produttore. Inutile che io faccia il nome, perché il problema non è lui, ma il complesso corporativo di cui fa parte. Complesso corporativo che ha dapprima cercato di ammansirmi e ora mi combatte. Sono state dette e scritte tante menzogne infamanti su questo film negli ultimi 3 anni, pur di impedirne ai cittadini italiani la visione. Tra queste il fatto che le testimonianze dei migranti-schiavi in Libia sarebbero state raccolte e pubblicate senza il loro consenso (si badi bene, non che in quelle testimonianze sia dichiarato il falso, ma che io non avrei il consenso per pubblicare quelle dichiarazioni). Questo è falso. Non è questa accusa infamante quanto inconsistente ad aver bloccato il film, ma la decisione unilaterale e mai motivata del suo produttore. Pertanto oggi, a 3 anni di distanza dal suo completamento (e a 5 anni dalle riprese), con un pezzo della mia vita sequestrato da anni per ideologia, considerato oltremodo sufficiente il tempo concesso al produttore per allestire una distribuzione dignitosa dell’opera e constatato che al contrario nessuna azione è stata presa in tal senso se non il totale rifiuto di ogni proposta ricevuta, oggi, 25 giugno 2024, per decisione unilaterale del suo autore, il film viene caricato in rete a tempo illimitato e messo a disposizione di tutti coloro lo vogliano vedere. Compio oggi questa azione (che trae la sua legalità dal fatto che non monetizzerò le visualizzazioni che avrà il film, ma la cui diffusione avviene solo a scopo divulgativo) perché oggi è un giorno pieno di significato per chi ha a cuore la Libia e il destino di tutti coloro che vi si trovano. Oggi, 25 giugno 2024, sono 10 anni dalle ultime elezioni libiche, tenute il 25 giugno 2014 e ormai soppresse pur di non far eleggere Saif Gheddafi, in testa ai sondaggi, perpetuando così l’occupazione militare della Tripolitania ad opera delle milizie e, di conseguenza, fatalmente, consegnando loro 600mila migranti-schiavi lì bloccati da anni. Questa è la storia ignominiosa, quella che non si può raccontare, quella contenuta nel mio nuovo documentario “Una storia antidiplomatica”. Ma in qualche modo questo è anche il motivo della censura dell’Urlo. Perché, raccontando la Libia sul terreno, i migranti-schiavi del film raccontano l’inganno, quello cioè di non essere più migranti, ma schiavi in trappola. Schiavi in Tripolitania di un sistema di milizie che sono ancora oggi il lascito dell’aggressione militare della NATO nel 2011 e che ormai sottraggono la capitale e poche altre città limitrofe alle legittime autorità libiche nel frattempo formatesi. In altre parole, ciò che disturba le Ong e il loro mondo di narrazioni fiabesche, non sono tanto questo o quel messaggio, ma il quadro che il racconto diretto dei migranti-schiavi in Libia riconsegna. Un quadro in cui loro non giocano più il ruolo dei salvatori, ma dell’esca, lasciando immutato il sistema di oppressione che in Libia genera quella sofferenza necessaria al “salvataggio”. E sono due cose molto diverse. Ad ogni modo, la censura non ha fermato quest’opera che oggi siete liberi di vedere. Anche se a Napoli il 25 novembre 2022 i vertici delle Ong italiane presenti in sala, con la complicità degli organizzatori del Festival dei diritti umani che mi ospitava, hanno interrotto la proiezione al 20’ minuto, la censura non ha fermato quest’opera. Anche se facendo una ricerca con le parole chiave del film vi compaiono due ragazzi africani che sostengono di non aver dato la liberatoria all’utilizzo del materiale da loro prodotto, beh, sappiate che il primo sostiene il falso (ha più volte concesso l’assenso a mia precisa domanda come risulta da chat documentate, cosa lo abbia spinto a cambiare idea invece, non è dato sapere) e l’altro invece millanta, perché non è presente nell’Urlo, quindi non si capisce cos’abbia da rivendicare. Sostiene di essere l’autore di un video girato con telefonino contenuto anche nel film L’Urlo. Appunto, trattasi, ammesso che sia così, di video virale ormai di dominio pubblico per la proprietà del diritto di cronaca. Anche se vi imbatterete in un articolo di Davide Ferrario sulle pagine locali di Torino del Corriere della Sera, in cui riesce a fare una recensione del film senza averlo visto. Lo dichiara lui stesso, ma poi argomenta con “pare”, “salta fuori che” etc… Ad ogni modo, anche se leggerete quell’articolo, la censura non ha fermato quest’opera. Anche se decine di radio, di università, di sale e di associazioni hanno disdetto eventi con l’autore dell’Urlo in seguito a questa campagna diffamatoria qui sopra menzionata, ora tutto torna a posto. E la censura, come le bugie, ha le gambe corte. Ha le gambe corte, ma miete occasioni perse. Quelle che hanno impedito in questi anni, a chiunque avesse una opinione, di essere raggiunto, dalla visione di questo film in poi, almeno da un dubbio. L’oscurantismo, il regime, il fascismo è questo.

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