Nel video precedente abbiamo parlato della vita di Machiavelli, quest’oggi affronteremo l’opera più importante di Niccolò Machiavelli, il Principe. Come visto, già nel 1513, come si legge nella lettera a Vettori, Machiavelli dà notizia di aver composto un “opuscolo”, chiamato De principatibus. La stesura dell’opera sarebbe dunque risalente al luglio-dicembre di quell’anno. Posteriormente – secondo gli studiosi – sarebbe stata aggiunta la dedica a Lorenzo de’ Medici; probabilmente fu aggiunto dopo anche l’ultimo capitolo, in cui si ha un’appassionata esortazione a liberare l’Italia dai “barbari”; ciò si presume perché il tono delle ultime pagine appara assai diverso dal resto del trattato. Pur essendo un’opera rivoluzionaria nell’impostazione del pensiero, il Principe si può collegare ad una precedente tradizione di trattatistica politica. Già nel medioevo si erano diffusi trattati (cd. specula principis) intesi a tracciare il modello di Principe e le virtù che questi doveva possedere. Questa produzione si intensificò nel Quattrocento con l’avvento delle signorie e dei principati. Se da un lato Machiavelli si riallaccia a questa tradizione, dall’altro la rovescia radicalmente: mentre i precedenti trattati miravano a fornire un’immagine ideale ed esemplare del regnante, Machiavelli proclama di voler guardare alla “verità effettuale della cosa”; egli non parla di virtù morali o etiche, ma di quei mezzi che sono utili al Principe per conservarsi al potere. Particolarmente interessanti a tal proposito sono i capitoli XV-XVIII, che costituiscono la terza parte del libro, in cui vengono trattati i modi di comportarsi del Principe con i sudditi e con gli amici. È questa la parte che maggiormente ha destato scalpore, in cui si sostiene che un Principe, per essere “savio”, deve assumere, se lo richiedono i tempi, anche comportamenti moralmente negativi. Nel capitolo XVIII è contenuta la celebre metafora della golpe e del lione: un principe, se necessario, deve essere bestia e uomo, sapendo far valere si i metodi dell’astuzia (golpe), sia quelli della forza bruta (lione). A questi capitoli dedicati alle qualità del principe e della sua corte (segretari, adulatori…) segue la parte finale, in cui si affrontano le cause che hanno portato i principati Italiani a perdere i loro stati, con la crisi successiva al 1494, mentre il capitolo XXV è dedicato al rapporto tra virtù e fortuna, in cui l’autore sostiene la Fortuna esser donna: “ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla”. La fortuna, ancora, è equiparata ad un fiume in piena: il politico capace deve saperne costruire gli argini, per impedire che le acque invadano la campagna e i raccolti. L’ultimo capitolo, il ventiseiesimo, è invece un’appassionata esortazione ad un Principe nuovo, accorto ed energico, che sappia porsi a capo del popolo italiano e liberare l’Italia dai “barbari” e si conclude – non a caso – con la citazione della canzone All’Italia di Petrarca: Vertú contra furore | prenderà l'arme, et fia 'l combatter corto: | ché l'antiquo valore | ne gli italici cor' non è anchor morto. Con il suo Principe Machiavelli può essere considerato il fondatore di una nuova scienza politica. Il metodo di questa nuova scienza è basato sul principio fondamentale dell’aderenza alla “verità effettuale”. In quanto Machiavelli vuole agire sulla realtà, ne deve tener conto, partire dall’indagine della realtà concreta, mettere insieme le varie esperienze e ricavarne dei princìpi. Egli fa sì continuo ricorso a massime universali, ma il suo ragionamento non è deduttivo: egli ricava i principi dalla sua esperienza, dalla sua osservazione e dalle sue letture. Alla base di questo modo di accostarsi alla storia (passata e recente) vi è l’idea che l’uomo sia un fenomeno di natura al pari di altri, e che quindi i suoi comportamenti non varino nel tempo. Nel Proemio dei Discorsi egli constata che l’imitazione degli antichi ai suoi tempi era pratica costante nelle arti figurative, nella medicina, nel diritto, ma non nella politica. L’autore auspica che gli uomini prendano a modello gli antichi e si sforzino di riprodurre le loro forme politiche. Pertanto, secondo Machiavelli, sarebbe stato possibile costruire una teoria razionale dell’agire politico, in grado di individuare le leggi a cui i fatti politici rispondono. Punto di partenza per la formulazione di tali leggi è una visione crudamente pessimistica dell’uomo come essere morale. gli uomini per Machiavelli sono malvagi. Le leggi della convivenza umana, perciò, sono dure e spietate. Ecco che il principe non può seguire sempre l’ideale e la virtù, ma dev’essere “centauro”, uomo e bestia. Machiavelli capisce che l’ordine dei giudizi che fonda l’agire sociale non corrisponde ai valori e ai criteri del bene o del male, ma all’utile o al danno politico. Machiavelli, dunque, non giustifica, constata solo certi comportamenti, buoni o cattivi che siano, reputandoli indispensabili per conquistare e mantenere lo Stato.
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