compositore e strumentista francese, una decina di dischi all'attivo a partire dall'ormai leggendario “Libre parcours“ del 1988. Ma, oltre che di culto, Aubry è anche un tipico “musicista circolare“, per riprendere la bella immagine coniata da Ivo Franchi, critico musicale. Circolare in senso geografico, se si guarda la traiettoria che l'ha trasportato dai Vosgi natii a Parigi, e poi a Venezia (dove ha conosciuto la danzatrice americana Carolyn Carlson, sua musa ispiratrice nella musica e anche in un lungo tratto di vita) e poi di nuovo a Parigi. E circolare in senso più strettamente estetico, perché la musica che fa, così onirica e sapientemente “visiva“, pare davvero disporsi lungo la serie infinita di punti di una circonferenza immaginaria. Dove, a tratti, compaiono richiami a Michael Nyman e a Steve Reich, a tratti giochi di prestigio in perfetto stile Penguin Café Orchestra, a tratti echi di moduli popolari, rimandi all'adorato mondo celtico, languori che rievocano persino atmosfere à la Nino Rota, di cui il nostro René è, da sempre, un ammiratore sfegatato. R.G.
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