Inception - La nostra analisi del finale 10 anni dopo l'uscita. È sempre questione di tempo. Lo è per Christopher Nolan che ancora oggi considera il tempo elemento centrale della sua filmografia e vero motore narrativo delle sue storie (non fa eccezione il suo nuovo Tenet che sembra ragionare sulla reversibilità del tempo e, forse, su una costruzione palindroma che richiamerebbe ancora una volta la circolarità del tempo). Lo è per Cobb e la sua squadra che devono lottare contro il tempo per innestare un'idea nella mente di Robert Fischer. Lo è nel mondo onirico, sempre più dilatato, livello dopo livello man mano che si scende in profondità. E, infine, lo è per noi spettatori che, con una punta di incredulità, ci rendiamo conto che sono passati ben dieci anni da quella prima visione al cinema di Inception, il film in cui Christopher Nolan ci intratteneva catapultandoci dentro i sogni, il subconscio, le idee, i traumi e il tentativo di rinascita dei personaggi confermando una volta di più il suo successo e consacrandosi definitivamente come uno dei registi più acclamati e originali degli ultimi anni. Soggetti intriganti, sceneggiature più complesse rispetto alla media dei blockbuster e capacità di sorprendere lo spettatore valorizzando al meglio il grande schermo: sono questi gli ingredienti che ci aspettiamo quando ci approcciamo a un film di Christopher Nolan e, bisogna ammetterlo, non ne restiamo mai delusi, anche se non sempre il meccanismo narrativo composto da regole ferree e concepito nei minimi dettagli dal regista funziona sempre al meglio. A distanza di dieci anni e con uno sguardo più distaccato, torniamo a parlare del finale di Inception che continua a far discutere sulla sua natura e proviamo a dare una risposta definitiva all'eterna domanda con cui il film furbamente ci abbandona: siamo ancora in un sogno o siamo in una splendida realtà? Testo: Matteo Maino Voce e montaggio: Gabriele Scarcelli
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